giovedì 29 gennaio 2015

La straordinaria attualità di Gandhi.
Religione e laicità, contro il terrorismo e ogni guerra

Di Mao Valpiana*
 La marcia del sale
(...) E’ stato assassinato da un giornalista indù, alla testa di un complotto, che
non gli aveva perdonato la sua azione per la riconciliazione religiosa e la sua apertura ai musulmani.
Gandhi, che era di religione indù, fu considerato dai fondamentalisti di entrambe le parti come
un pericolo. Sono passati 67 anni, da quel 30 gennaio del 1948, e il fondamentalismo è ancora
un pesante ostacolo per i processi di pacifica convivenza; il terrorismo internazionale si maschera
dietro una religione per raggiungere l'obiettivo politico di destabilizzare e conquistare potere.
Dunque, non si può parlare di Gandhi senza riferirsi alla sua esperienza e alla sua definizione di
religione: “E’ l’elemento permanente della natura umana; non ritiene nessun sacrificio troppo
grave per trovare piene espressione e lascia l’anima totalmente inquieta fino a che non ha trovato
se stessa, conosciuto il suo Creatore e sperimentato la vera corrispondenza fra il creatore e se
stessa”. E poi prosegue: “Per me Dio è verità e amore; Dio è etica e morale; Dio è coraggio. Dio
è la fonte della luce e della vita e tuttavia è di sopra e di là di tutto questo. Dio è coscienza. E’
perfino l’ateismo dell’ateo. Trascende la parola e la ragione. E’ un Dio personale per coloro che
hanno bisogno della sua presenza personale. E’ incarnato per coloro che hanno bisogno del suo
contatto. E’ la più pura essenza. E’, semplicemente, per coloro che hanno fede. E’ tutte le cose per
tutti gli uomini. E’ in noi e tuttavia al di sopra e aldilà di noi...”.
Siamo in presenza di una religione aperta, libera, accogliente, amorevole, umana. La religione di
Gandhi coincide con la ricerca della Verità, perché Dio stesso è Verità, e la Verità è Dio. In questo
senso per Gandhi ogni problema che si pone, ogni questione che si deve affrontare, politica, sociale, economica, etica, collettiva o personale, è una sfida religiosa: “per me ciascuna attività, anche la più modesta, è guidata da quella che io considero la mia religione... la mia attività politica, come tutte le altre mie attività, procede dalla religione... perciò anche nella politica dobbiamo stabilire il regno dei cieli”. Tuttavia in Gandhi c’è posto anche per una piena laicità.
Credo ciecamente nella mia religione. Voglio morire per essa. Ma è una mia faccenda personale.
Lo Stato non c’entra. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi del benessere temporale, dell’igiene, delle
comunicazioni, delle relazioni con l’estero, della circolazione monetaria e così via, ma non della
vostra o mia religione. Questa è affare personale di ciascuno”. (...)

 La novità emersa con Gandhi consiste nell’aver saputo trasformare le nonviolenza da fatto personale a fatto collettivo, da scelta di coscienza a strumento politico: con Gandhi la nonviolenza non è più solo un mezzo per salvarsi l’anima, ma diventa un modo per salvare la società. La nonviolenza è sempre esistita, presente in tutte le culture e in tutte le religioni, in oriente e in occidente, nei sacri testi della Bibbia e del Corano, della Bhagavad Gita e del Buddhismo. Ma è con Gandhi che la nonviolenza diventa un’arma di straordinaria potenza per liberare le masse oppresse. Il Mahatma ci ha fatto scoprire che la nonviolenza è insieme un fine ed un mezzo, che per abbracciare e farsi abbracciare dal satyagraha ci vuole fede, pazienza, sacrificio, dedizione, addestramento: “Il satyagrahi si allena giorno per giorno, in ogni istante della propria vita, per diventare capace di soffrire con gioia e apprendere la difficile arte del dono della vita.
 Egli agisce senza recriminazioni, con distacco, senza aspettarsi il risultato immediato delle proprie azioni e senza rivendicarne il merito. Non si stupisce della violenza che puo' essergli inflitta, non agisce con rabbia e utilizza ogni occasione che gli si presenta per trasformare il male con il bene.”
Gandhi è stato un grande innovatore, è stato l’uomo che ha riscattato il ventesimo secolo che
altrimenti sarebbe stato consegnato alla storia come un secolo buio, per gli orrori delle guerre
mondiali e per l’olocausto nei campi di sterminio. Gandhi è la preziosa eredità per il nuovo secolo.
La lezione di Gandhi ha suscitato molti proselitismi, in ogni parte del mondo. Dagli Stati Uniti di
Martin Luther King, al Sudafrica di Mandela, dalla Birmania di Aung San Suu Kyi, al Tibet del
Dalai Lama, ed in Italia con Maria Montessori, Aldo Capitini, Danilo Dolci; in America Latina e in
Europa, ovunque vi sono gruppi o popoli che lottano per i loro diritti ispirandosi alla forza attiva del
satyagraha.
Oggi non si può parlare di pacifismo senza fare i conti con la nonviolenza gandhiana.
La mobilitazione contro la guerra e il terrorismo (la guerra è terrorismo su vasta scala, e il terrorismo
è una guerra contro la società) è coerente e vincente solo se fatta con i mezzi della nonviolenza.
“La guerra è il più grande crimine contro l’umanità”. Gandhi condanna il ricorso alla violenza,
senza appello, e ci indica anche il metodo giusto alternativo: “Si dice: i mezzi in fin dei conti sono
mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto”. Dunque la nonviolenza di Gandhi è soprattutto
prassi, azione, sperimentazione. Tutta la sua vita è spesa in questa ricerca, tanto da intitolare la sua
autobiografia “Storia dei miei esperimenti con la verità”.
Il mondo è solo all’inizio dell’esplorazione delle potenzialità della nonviolenza, la sola via che può
salvare l’umanità.
* presidente del Movimento Nonviolento
30 gennaio 2015-ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GANDHI

venerdì 16 gennaio 2015


Il papà di Handala
Il 22 luglio 1987, su un marciapiede di Londra veniva colpito Naji al-Ali, disegnatore e vignettista palestinese. Papà premuroso di Handala, bimbo palestinese simbolo delle sue strisce di cui nessuno ha mai visto il volto perché è sempre stato disegnato di spalle. Un bambino che rappresentava la resistenza palestinese e un intero popolo, un bimbo che si sarebbe girato per mostrare il suo volto solo una volta tornato a casa sua, solo una volta tornato libero, in terra di Palestina.
Il papà di Handala, colui che muoveva quella matita così fastidiosa, era un uomo straordinario: a 10 anni era stato un Handala anche lui, esule, cacciato dalla sua terra e abitante di arrangiate tende nel campo di Chatila in Libano.
Naji al-Ali con la sua matita, ogni giorno, anche dal più lontano esilio londinese, colpiva il nemico israeliano occupante con strisce sottili e pungenti, laceranti e dolci, era un combattente instancabile, finchè Israele non decise di andarlo a cercare.
A tutt'oggi i colpevoli non sono stati arrestati. 
Violentemente privato del diritto di un’altra vignetta, di un altro disegno o di un altro attacco al potere, Naji al Ali non è stato mai dimenticato. La sua vita e i suoi disegni sono stati anche resi immortali dal film "Un artista con una visione".
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sabato 10 gennaio 2015

Dopo i fatti tragici e criminosi di Parigi..................
continuiamo il nostro lavoro nella nonviolenza attiva,creativa,intelligente e tenace che ci allena all'amore incondizionato per costruire un'economia di giustizia in un mondo senza frontiere con ancora più salda determinazione e passione perchè è l'unica strada che ha una testa e un cuore



“Come è difficile, in momenti così drammatici, tenere una penna ben salda nella mano. Decidere di non lasciarla per impugnare altri strumenti, che darebbero una sicurezza più grande nell’immediato, ma ingannevole nel tempo della Storia. Ancor più difficile è usarla, quella penna, per scrivere senza tremare che la risposta alla violenza è, gandhianamente, nella nonviolenza (ahiṃsā) e nella forza della verità (satyāgraha). Ma è proprio quando gli strilli della vendetta e gli sfollagente della ragion di Stato si levano verso il cielo, come accecante fumo nero, che la stretta delle nostre dita si deve fare più decisa e il nostro sguardo più limpido. Non sarà con le bombe e i loro eufemistici “danni collaterali”, non sarà con la chiusura di spinate frontiere e il tentativo di impedire quella inarrestabile onda che è l’incontro di culture, non sarà con il perseverare e l’acuire una tortura istituzionalizzata, fisica e psichica, che tuttora rende gli Stati cosiddetti democratici, correi di violenza. Soltanto una ricerca spasmodica, instancabile della piena realizzazione di uno stato di diritto, dentro e fuori i nostri confini, soprattutto mentali, potrà condurre gli esseri umani a ritrovare la sanità, la vitalità, la nonviolenza che sono il patrimonio genetico della nostra nascita. Difficile pensare e scrivere questa verità; ancor più difficile, forse, realizzarla”.
Così, in una nota di Paolo Izzo riportata su Libertà dell 11 Gennaio 2015